Gli influencer sono sempre esistiti?

Oggi il termine “influencer” è sulla bocca di tutti, tra chi sostiene che questo fenomeno sia in forte crescita e chi pensa che sia un lavoro fittizio. Ma la figura dell’influencer è davvero una novità del nuovo millennio? Se per “influencer” intendiamo una persona che grazie alla sua notorietà, ha il potere di influire sul potere d’acquisto di altri soggetti, la risposta è no.

Testimonial, endorser, influencer. Cambia la denominazione ma il risultato non cambia, come nelle famose formule di matematica. Infatti, si è sempre usato nella pubblicità l’ingaggio di celebrità o persone che hanno una forte influenza sul pubblico, con il solo scopo di assicurare garanzia e sicurezza al potenziale acquirente e quindi avere un’alta probabilità di conversione.

Testimonial sarebbe il termine corretto da usare in riferimento a persone comuni che possono rappresentare l’immagine perfetta di un ideale, ad esempio un consumatore-tipo di quel determinato prodotto o servizio, ma viene spesso utilizzato anche quando si tratta di personaggi famosi.

L’endorser invece è quasi sempre una celebrità, soprattutto in ambito musicale o sportivo e la sua caratteristica principale che lo differenzia dal testimonial, è che spesso ha un ruolo attivo nella progettazione e/o nell’utlizzo del prodotto che va a pubblicizzare.

L’influencer potremmo dire che è una fusione di entrambi per tanti aspetti. Sono infatti per definizione, persone comuni che parlano da consumatori, come potremmo esserlo noi, dando una personale recensione e opinione su determinati servizi o prodotti che prima utilizzano loro stessi o di cui ne fanno già un uso costante.

Perché non siamo tutti influencer?

Che differenza c’è tra una persona comune e un influencer? E soprattutto, può considerarsi un vero lavoro? La differenza sostanziale è nel seguito che queste figure hanno, dove grazie alla semplice creazione di un canale social, riescono ad attrarre un gran numero di persone, creando una sorta di personal brand che si occupa di un determinato settore, ed è proprio questo il lavoro dell’influencer. Non a caso, pur essendo una posizione molto ambita ultimamente, in pochi riescono davvero nell’impresa.

Al contrario di quel che si possa pensare, essere autentici e entrare in empatia attraverso uno schermo dando con regolarità contenuti originali di qualità che soddisfino le persone senza annoiarle è molto complicato, soprattutto ultimamente, dove la soglia d’attenzione cala di anno in anno.

In molti pensano che si tratti spesso di improvvisazione, dal modo in cui si comunica ai materiali postati, in realtà il lavoro di questi creatori di contenuti è molto complesso. Per funzionare al meglio bisogna studiare una strategia, un piano di pubblicazione scegliendo argomenti sempre nuovi sfruttando anche le novità e i trend del momento, si sceglie la tipologia che deve avere quel determinato contenuto, creando una propria linea grafica riconoscibile, si valuta poi il giorno e l’ora migliore in cui postare. Per ultimo invece, c’è l’analisi dei dati, una parte molto importante per capire se si sta andando nelle giusta direzione.

Ne abbiamo parlato più nello specifico in questo articolo.

Le collaborazioni con le aziende quindi, da dove derivano i maggiori guadagni, possiamo dire che sono solo la punta dell’iceberg.

Influence marketing, perché integrare un influencer nella tua strategia e come sceglierlo

Questa forma di marketing potremmo definirla come una sorte di passaparola. Ovviamente l’influence marketing prende in considerazione studi e strategie più complesse. Infatti è una comunicazione che si focalizza su degli individui chiave in grado di influenzare i potenziali acquirenti che appartengono al nostro target anziché direttamente sul mercato.

I vantaggi che un’azienda può trarre dalla collaborazione con un influencer sono sicuramente l’aumento di visibilità e credibilità, oltre a un coinvolgimento più interattivo ed empatico con i possibili clienti e una comunicazione mirata a un target ben specifico.

É una scelta che si basa sulla logica della complicità, dove la persona con cui collaborare viene scelta per la sua credibilità e l’empatia che ha con il proprio pubblico, condividendo quindi un modo di essere e in cui il possibile consumatore ci si può rispecchiare, consigliando il prodotto o servizio come se fosse un’amico di cui fidarsi.

I micro Influencer, il fenomeno del momento

Non a caso uno dei trend del momento sono i micro-influencer, persone con un numero di follower ridotto, che creano contenuti che trasmettono autenticità, genuinità e credibilità a una nicchia molto ristretta. Spesso i micro-influencer conoscono alla perfezione la propria community e gli argomenti che trattano, motivo per cui sanno perfettamente i bisogni di chi ne fa parte e quindi come comunicare al meglio con loro, creando un alto tasso di interazione e conversione.

Per godere di tutti questi vantaggi, l’azienda che decide di affidare a un influencer la pubblicità dei propri prodotti o servizi, deve tener conto di alcuni parametri, quindi studiare una vera e propria strategia come qualsiasi altra campagna pubblicitaria.

Specifichiamo subito che la scelta non si basa sul numero di follower, certo, va preso in considerazione, ma ci sono aspetti più importanti da valutare, anche perché non sempre questi numeri rispecchiano la realtà.

Prima di tutto dobbiamo stabilire fin da subito gli obiettivi che vogliamo raggiungere, sapere esattamente qual’è il nostro target di riferimento e quindi cercare l’influencer con un pubblico che si avvicini il più possibile alla nostra fascia di mercato, fare uno studio dei competitors e scegliere i social con cui si intende comunicare.

Dopo questa prima analisi, la persona che andremo a ingaggiare dovrà essere affine alle politiche aziendali e dovremo valutarne la capacità di influenzare, l’empatia e la comunicazione che più si avvicina alla nostra realtà. Questo comprende anche la valutazione dei numeri dell’influencer, ovvero followers, visibilità e il suo engagement rate.

COME POSSIAMO MISURARE UNA CAMPAGNA DI INFLUENCE MARKETING?

In base agli obiettivi che ci eravamo prefissati, per misurare il nostro ROI (ritorno sull’investimento) vediamo i metodi più utilizzati che possiamo adottare.

È possibile valutarlo tramite la vendita diretta, dando il classico codice sconto univoco dell’influencer o tramite le impression, distinguibili tra reali e potenziali.

Quelle potenziali sono calcolate in base alle Vanity Metric dei followers, ma possono essere falsificabili, quindi è sempre meglio fare più affidamento su quelle reali che indicano il numero effettivo di utenti che hanno visto un post, quindi verificare il reale coinvolgimento del singolo post anche in termini di condivisioni.

Sapevi che anche Andy Warhol è stato un influencer?

Amiga 1000, è questo il prodotto che Andy Warhol accettò di pubblicizzare. Un personal computer dalle notevoli capacità grafiche per l’epoca.

Durante un evento promozionale, nel 1985, Warhol “dipinse” Debbie Harry, cantante dei Blondie, opera che fece parte della collezione dell’artista per molti anni. Avendo poi avuto il computer in regalo, Andy sperimentò il digitale, ricreando alcune sue famose opere come la famosa lattina Campbell Soup e la banana del primo album dei Velvet Underground, ma non si fermò qui, infatti fece anche una rielaborazione pixelata della Venere di Botticelli e altre 8 opere contenute in un floppy.

Dopo quasi trent’anni, grazie all’artista Cory Angel e un team di esperti, possiamo apprezzare queste opere digitali all’Andy Warhol Museum a Pittsburgh e vedere come l’arte digitale, spesso sottovalutata, era già presente in passato.

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